Aveva fatto sì che quella fosse una delle cene più ricche di sempre, a livello di cibo. Anche se i muri della dimora lasciavano a desiderare, aveva richiesto che fosse messa una tovaglia che ricordava l’argento della casa di Salazar, e i calici rigorosamente in vetro verde. C’era un solo elfo a loro servizio ed era destinato solo alle cucine e a prepare loro da mangiare. Per lui e per Morfin, che sedeva scomposto su una poltrona davanti ad un fuoco accesso e sembrava prossimo a sbranare qualcuno. Non provava molta simpatia per uno dei loro ospiti, il nipote, ma era stato ore a convincerlo che conoscerlo era la cosa giusta da fare, anche per la memoria di Merope.
“E’ tutto pronto?” Chiese al figlio, in serpentese come erano solito parlare loro, accompagnando quella richiesta dal gesto di toccarsi la pietra nera dell’anello che Orvoloson aveva al dito.
Morfin non gli rispose e si limitò ad annuire per raggiungere la tavola apparecchiata. Ormai mancava poco all’ora e quando sentì la porta bussare, Orvoloson prese un candelabro da un tavolino nero e con la candela accesa si fece strada in un corridoio lugubre e buio. Sulle assi di legno del pavimento si sentiva il fruscio della coda rossa della sua vestaglia, come se fosse il verso di un vero serpente e giunto all’ingresso, aprì la porta al suo ospite d’onore. Il volto pieno di rughe era illuminato dalle candele del candelabro che reggeva e sperò che Tom Orvoloson Riddle non si spaventasse troppo.
L’anziano Gaunt chinò appena il viso in avanti. “Ben arrivato, nipote.” Gli disse, in serpentese, certo che quell’abilità l’avesse ereditata almeno da loro. O forse l’avrebbe guardato interrogativo, rispondendogli normalmente. Non aveva astio nei suoi riguardi, ma gli sviluppi di quella serata gli interessavano in modo particolare. Quel ragazzo era pur sempre il discendente di Salazar Serpeverde.
“Vieni, ti faccio strada. Mi auguro che il viaggio non sia stato stancante.” Continuò, facendogli strada nei tetri corridoi del maniero dei Gaunt. All’appello mancava ancora qualche ospite, ma non gli sarebbe dispiaciuto fare due chiacchiere con Tom e Morfin, prima dell’inizio della cena. Orvoloson guidò il nipote nel grande salone dai quadri impolverati e dai divani rotti, dove risalvava all’occhio una tavola ben apparecchiata con ogni cibo possibile e immaginabile.